avvocato per successione ereditaria

Articolo di Antonio Strangio

Successione ereditaria: la guida

La successione è una procedura giuridica che prevede il trasferimento dei beni dal defunto agli eredi. Ecco una miniguida su questa tematica delicata
successione ereditaria
avvocato per successione ereditaria
Articolo di Antonio Strangio

Successione ereditaria: la guida

La successione è una procedura giuridica che prevede il trasferimento dei beni dal defunto agli eredi. Ecco una miniguida su questa tematica delicata

La successione ereditaria rappresenta una tematica molto delicata, attinente alla sfera più profonda ed intima della famiglia, spesso foriera di problematiche e tensioni. La morte di una persona, infatti, è un evento che di per sé destabilizza le abitudini di una famiglia. Vi è poi che, oltre alla componente affettiva, il decesso di una persona incide,a volte anche pesantemente, sulla sfera patrimoniale della famiglia. E proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, possono sorgere una miriade di problemi per gli eredi. Problemi che vanno dalla (apparentemente) semplice procedura di presentazione della dichiarazione di successione alle più complesse fattispecie di divisione delle quote ereditarie, azioni di riduzione ed impugnazioni di testamento.

Questo articolo ha quindi lo scopo di agevolare il lettore nella comprensione dei principali aspetti della successione ereditaria.

Come funziona la successione

La successione mortis causa, genericamente intesa, è quella procedura giuridica che prevede il trasferimento del patrimonio ereditario dalla persona defunta agli eredi. Per patrimonio ereditario, si intende l’insieme dei rapporti patrimoniali attivi e passivi trasmissibili al momento della morte. Quindi,in parole più semplici, l’eredità comprende non solo i beni e i crediti ma anche i debiti della persona defunta.

La successione per causa di morte può essere:

  1. Testamentaria, quando è regolata da un testamento;
  2. Legittima, quando, in mancanza di un testamento, è disciplinata esclusivamente dalla legge che prevede la destinazione dell’eredità a seconda del grado di parentela.

Da qui si deduce che se si vuole lasciare alcuni beni (mobili o immobili) a determinate persone, è bene pensarci con anticipo e redigere un testamento.

Deve comunque essere ben chiaro che la legge italiana stabilisce che una quota di eredità, la quota legittima, spetta in ogni caso, di diritto, ai parenti più stretti, come il coniuge e i figli. Questo sia che si tratti di successione testamentaria che di successione legittima. Normalmente, la successione mortis causa nella quota riservata (la quota legittima) ai parenti più stretti, è detta anche successione necessaria.

Ad ogni modo, quello che mi preme specificare in questa sede, è che successione legittima (successione regolata dalla legge in mancanza di testamento) e successione nella quota legittima (o successione necessaria), sono due cose assolutamente diverse, e non vanno confuse.

Successione ereditaria: principi generali

Come detto, la successione ereditaria funziona diversamente a seconda che sia regolata da un testamento o dalla legge. Quale che ne sia la fonte (legge o testamento) vi sono comunque delle regole generali che connotano il procedimento di trasmissione del patrimonio del de cuius.

Apertura della successione

Il primo passaggio del procedimento successorio è l’apertura della successione. Ciò si verifica nell’esatto momento in cui cessano in maniera irreversibile le funzioni vitali della persona (cioè con la morte della persona). Da questo esatto momento la successione può considerarsi aperta.

L’apertura della successione indica che un patrimonio, a causa della morte di un soggetto, è rimasto privo di titolare, determinando la necessità che altri soggetti subentrino nei rapporti, attivi e passivi, che sopravvivono al de cuius.

La legge attribuisce particolare importanza alla determinazione ed al luogo in cui si verifica l’apertura della successione. E’ l’articolo 456 del codice civile che ci dice che la successione si apre nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto. Il domicilio, secondo la legge italiana, è quel luogo in cui un soggetto stabilisce la sede principale dei propri affari o interessi. A tal proposito, non assumono rilievo la dimora (il luogo ove taluno abita) o la residenza (cioè la stabile dimora, di cui vi è obbligo di denuncia anagrafica).

Determinare il luogo di apertura della successione è molto importante. Esso consente l’individuazione del tribunale ove è conservato il registro delle successioni, presso la cui cancelleria è possibile rendere la dichiarazione di accettazione o di rinuncia all’eredità. Il luogo di apertura della successione ereditaria è altresì rilevante per determinare il giudice competente in ordine alle eventuali controversie sulla successione e per la concessione di provvedimenti autorizzativi ai sensi dell’art. 747 del codice di procedura civile (cioè l’autorizzazione a vendere i beni ereditari).

Per meglio comprendere come si determina il luogo di apertura della successione ereditaria, si pensi al caso in cui Tizio, il quale vive e lavora a Bologna da tutta la vita, muoia improvvisamente nel corso di una vacanza in Sardegna. In questo caso l’apertura della successione si verificherà a Bologna, luogo ove Tizio viveva e lavorava, mentre non avrebbe alcun senso fare riferimento alla Sardegna, luogo rispetto al quale Tizio non aveva alcun collegamento.

La vocazione ereditaria

Una volta aperta la successione, occorre vedere a chi spettino il patrimonio ereditario o i singoli beni. Si apre quindi la fase della vocazione ereditaria, che significa indicazione di colui che è chiamato all’eredità. La designazione del successibile (il chiamato all’eredità) può avvenire in due modi: per legge (successione legittima) o per testamento (successione testamentaria).

Una cosa deve essere ben chiara: essere chiamato all’eredità (per legge o per testamento) non significa essere erede né titolare di beni o diritti sull’eredità. Per acquisire la qualità di erede occorre che il chiamato accetti l’eredità, ovvero manifesti la propria volontà a diventare erede. 

Nella prassi può succedere che una persona scopra di essere chiamata all’eredità dopo aver ritrovato un testamento oppure che, in mancanza, accertatasi della qualità di chiamato per legge, decida di accettare immediatamente l’eredità, così diventando erede a tutti gli effetti.

Può però accadere che il chiamato lasci passare del tempo per riflettere se gli convenga accettare o meno. Tra la morte dell’ereditando e l’accettazione del chiamato può quindi passare molto tempo e, durante questo tempo, il patrimonio ereditario rimane senza un titolare dei rapporti attivi e passivi che di esso fanno parte.

Ecco allora che, per assicurare la gestione del patrimonio ereditario durante questa fase di incertezza, la legge prevede la specifica figura dell’eredità giacente.

Essa si verifica quando non sia ancora intervenuta l’accettazione da parte del chiamato se questi non abbia il possesso dei beni ereditari e sia stato nominato un curatore dal tribunale competente, su istanza di qualsiasi interessato (si pensi alla banca che vantava un credito nei confronti del de cuius), che si occuperà di amministrare il patrimonio al fine di garantirne la corretta conservazione fino a che i chiamati non avranno accettato l’eredità.

Accettazione e rinuncia

Dicevo che l’eredità si acquista solo con l’accettazione. Potrebbe sembrare strano che una persona non voglia accettare l’eredità, ma ti assicuro che è una situazione più comune di quanto si possa immaginare.

Il chiamato all’eredità potrebbe avere interessi morali a non diventare l’erede di una persona con cui aveva un pessimo rapporto personale oppure interessi economici a non essere esposto all’obbligo di pagare i debiti del defunto.

Relativamente agli effetti, va detto che l’accettazione si distingue in: pura e semplice o con beneficio di inventario.

Con la prima si verifica una confusione tra il patrimonio del defunto e quello dell’erede, che diventano un patrimonio solo. Quindi, se il defunto ha lasciato dei debiti, quelli entreranno a far parte del patrimonio dell’accettante. Se invece, il chiamato all’eredità accetta con beneficio di inventario, non si produce la confusione di patrimoni, con l’effetto che si risponderà dei debiti del de cuius soltanto entro i limiti di quanto ereditato.

L’accettazione può essere espressa (cioè con esplicita manifestazione di volontà) o tacita (ovvero quando il chiamato compie atti che presuppongono necessariamente la volontà di accettare (si pensi a chi va ad abitare nella casa dei genitori defunti trasferendovi la residenza).

Quanto alle forme dell’accettazione espressa va segnalato che, nel caso di accettazione con beneficio di inventario, essa deve necessariamente essere fatta con dichiarazione ricevuta dal notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. Invece, l’accettazione pura e semplice può essere fatta in un atto pubblico o in una scrittura privata.

Il diritto ad accettare l’eredità si prescrive in 10 anni dalla data di apertura della successione. Tuttavia, può darsi che qualcuno abbia interesse a che il chiamato si decida entro uno spazio più limitato di tempo a dichiarare se intende o no accettare l’eredità. Si pensi alla banca che vantava un credito nei confronti del de cuius e vuole sapere contro chi agire per chiedere il pagamento del debito. Ebbene, in tal caso la legge consente al creditore di ricorrere al giudice per chiedere che venga fissato un termine trascorso il quale il chiamato perde il diritto accettare (e così il creditore potrà chiedere la nomina di un curatore di eredità giacente che si occupi di soddisfare la sua pretesa).

All’accettazione dell’eredità possono seguire seri e complessi contenziosi come quelli tra legittimari e donatari (qui trovi alcuni consigli pratici relativi all’eredità del genitore).

Quanto alla rinuncia, essa consiste in una dichiarazione unilaterale con la quale il chiamato all’eredità manifesta la sua decisione di non acquistare l’eredità. La dichiarazione di rinuncia deve essere ricevuta da un notaio o dal cancelliere del circondario in cui si è aperta la successione.

Chi rinuncia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato. Va detto che la rinuncia può essere revocata qualora si cambiasse idea, ma ciò è possibile solo fino a quando l’eredità non sia stata accettata da chi è divenuto chiamato in seguito alla rinuncia del primo chiamato e solo se non è trascorso il termine decennale per la prescrizione della facoltà di accettazione.

Le conseguenze della rinuncia sono diverse a seconda che si tratti di successione legittima o testamentaria, ma su questo mi soffermerò in altro articolo.

in ogni caso, si comprende come la rinuncia possa pregiudicare i diritti dei creditori: si pensi al caso, molto comune, della banca che vanta dei crediti nei confronti del chiamato e questi, rinunciando, non acquisisce nel suo patrimonio beni (magari anche immobili) sui quali la banca avrebbe potuto soddisfarsi. Proprio per contrastare l’utilizzo di simili espedienti, la legge prevede la possibilità per i creditori di chiedere al giudice l’autorizzazione ad accettare l’eredità al posto del soggetto che ha rinunciato. In questo caso, è bene precisarlo, il chiamato non acquista la qualità di erede contro la sua volontà: l’accettazione è fatta dal creditore al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari.

Successione legittima e testamentaria

Dopo aver sinteticamente affrontato le regole generali in materia di successioni ereditarie, tocca soffermarsi sulle peculiarità della successione legittima e della successione testamentaria.

Successione legittima: chi sono i successibili

Come detto, l’ordinamento giuridico consente a ciascun individuo di regolare la propria successione mediante testamento. Tuttavia, se il defunto non ha disposto dei suoi beni per testamento, interviene la legge a indicare come essi devono essere assegnati e distribuiti. 

Le categorie di successibili, nella successione legittima, sono le seguenti:

  • il coniuge
  • la persona unita civilmente
  • i discendenti
  • gli ascendenti
  • i collaterali
  • gli altri parenti
  • lo Stato

La posizione del coniuge nella successione legittima

A differenza di quanto avveniva in passato, oggi la legge riconosce al coniuge il diritto alla metà del patrimonio del defunto se in concorso con un solo figlio; quota ereditaria che si riduce ad un terzo se a concorrere sono più figli.

Nel caso in cui il coniuge concorra con ascendenti (genitori del defunto) o con fratelli e sorelle, la quota spettante sarà di due terzi del patrimonio.

In mancanza di tali soggetti al coniuge si devolve l’intera eredità.

Oltre alla qualità di erede, al coniuge superstite sono riconosciuti il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano.

Per quanto strano possa sembrare, anche il coniuge separato ha diritto all’eredità. Deve tuttavia precisarsi che tale diritto viene meno nel caso di addebito della separazione. E’ invece escluso dalla successione l’ex coniuge in a caso di divorzio.

La posizione degli altri successibili

Tra gli altri successibili possono distinguersi diversi ordini:

  • Del primo ordine fanno parte i figli. Essi succedono in parti uguali tra loro ed escludono sia dalla successione sia gli ascendenti che i collaterali (ma non il coniuge, cui è riservata, come si è visto, una posizione privilegiata).
  • Del secondo ordine fanno parte i genitori, i fratelli e le sorelle (nonché i discendenti di questi ultimi), gli ascendenti. Tutti questi soggetti succedono solo se il de cuius muoia senza lasciare prole. Quanto alle quote, il padre e la madre succedono in eguali porzioni, ovvero succede il genitore superstite. I fratelli succedono i parti uguali. La legge però distingue tra fratelli germani (stesso padre e stessa madre) e fratelli unilaterali (madre o padre diversi). Questi ultimi avranno diritto alla metà della quota spettante ai fratelli germani. I genitori concorrono con i fratelli del defunto: in presenza di entrambi i genitori, o di uno di essi, genitori e fratelli concorrono tutti per quote uguali, ma ciò solo se la quota spettante ai genitori non risulti inferiore alla metà dell’asse ereditario. Ai fratelli unilaterali spetta invece una quota pari alla metà di quella attribuita agli altri concorrenti. Gli ascendenti, che potrebbero essere i nonni, succedono solo in mancanza dei genitori.
  • Del terzo ordine fanno parte i collaterali dal terzo al sesto grado, che hanno diritto alla successione solo quando non vi siano altri successibili. In ogni caso la successione non ha luogo tra i parenti oltre il sesto grado.
  • In mancanza di altri successibili l’eredità è devoluta allo Stato. In questo caso l’acquisto dell’eredità opera di diritto senza bisogno di accettazione e non può farsi luogo a rinuncia. Inoltre, lo Stato non risponde mai dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni acquisiti.
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Successione testamentaria: caratteristiche principali

Si è già avuto modo di osservare, che le fonti della successione ereditaria (in forza delle quali si verifica l’offerta del patrimonio ereditario al chiamato all’eredità, affinché costui posso decidere se accettare la stessa, acquistando lo status di erede) sono di due tipi: la legge e il testamento.

La legge italiana preferisce che una persona disponga liberamente della sorte del suo patrimonio con un testamento, ossia con l’atto mediante il quale, per l’appunto, egli dispone dei suoi beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere, individuando i soggetti che ritiene più meritevoli di acquisire le sue sostanze dopo la sua morte: tale fenomeno è definito “successione testamentaria”. Solamente in via residuale, per il caso in cui una persona muoia senza lasciare disposizioni testamentarie o se, pur esistendo un testamento, questo sia invalido o inefficace o disponga le sorti solo di parte dei beni del defunto, l’eredità si devolve per legge (tale fenomeno è definito “successione legittima” o “intestata”).

Nella successione testamentaria, dunque, il patrimonio del defunto è devoluto al chiamato in base alle indicazioni dettate da costui, nel corso della sua vita, mediante testamento.

Il testamento è, dunque, l’atto “a causa di morte” con il quale una persona (il testatore) dispone delle proprie sostanze o di parte di esse per il tempo in cui avrà cessato di vivere (si parla, pertanto, di “atto di ultima volontà”).

Il testamento, per essere considerato tale, deve avere delle caratteristiche fondamentali. Esso, infatti, è un atto:

  1. Patrimoniale: il testamento è, infatti, l’atto con cui taluno dispone «di tutte le proprie sostanze o di parte di esse». Tuttavia le legge ammette, all’art. 587 c.c., che esso possa contenere disposizioni di carattere non patrimoniale, come ad esempio il riconoscimento di un figlio;
  2. Tipico: poiché è la legge a dire quali forme può assumere un testamento le disposizioni che in esso possono essere contenute, cioè l’istituzione di erede, il legato e il modus (anche denominato onere);
  3. Unilaterale: il testamento si fonda, inderogabilmente, sull’esclusiva volontà del testatore, quindi non è necessario che esso sia comunicato ai beneficiari delle attribuzioni effettuate mediante il testamento stesso: tale negozio infatti, è di per sé valido, anche se nessuno ne conosce il contenuto;
  4. Personale (anche definito un atto “personalissimo”): il testamento non ammette alcuna ingerenza da parte di soggetti terzi, e per tale ragione è esclusa ogni forma di rappresentanza o assistenza;
  5. Revocabile: quale atto di ultima volontà, il testamento è revocabile fino alla morte del testatore, al quale deve essere garantita la possibilità di poter sempre mutare opinione (fino al giorno della sua morte) su quale debba essere la sorte dei suoi beni.

Occorre, a questo punto, procedere ad un’analisi del negozio testamentario e dei predetti caratteri del testamento, in considerazione della fondamentale rilevanza pratica da essi assunta nella materia delle successioni ereditarie.

successione testamentaria e necessaria

La patrimonialità del testamento

Come previsto nel codice civile, il testamento è l’atto con cui taluno dispone «[…] di tutte le proprie sostanze o di parte di esse […]»: l’art. 587, comma 1, c.c., dunque, sancisce espressamente il principio della patrimonialità del negozio testamentario.

Come già sopra accennato, l’art. 587, comma 2, c.c., prevede che il testamento stesso può contenere disposizioni di carattere non patrimoniale, disponendo che: «Le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto che ha la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale».

Tra le disposizioni non patrimoniali che possono essere contenute in un testamento vi sono, tra le altre, le seguenti:

1) il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio (ai sensi dell’art. 254 c.c.);

2) la designazione di un tutore e un protutore fatta, a favore del figlio minore, dal genitore che, per ultimo, ha esercitato la responsabilità genitoriale sul minore stesso (ai sensi dell’art. 348, comma 1, c.c.);

3) la dichiarazione di voler riabilitare espressamente l’indegno (ai sensi dell’art. 466, comma 1, c.c.);

4) la confessione (disciplinata dall’art. 2735 c.c.);

La tipicità del testamento

Si ritiene che il testamento sia un negozio giuridico mortis causa tipico. Tipiche sono anche le forme testamentarie (ai sensi degli artt. 601, e seguenti, c.c.): la legge, infatti, prevede che il testamento debba avere una forma minima ad substantiam (ossia per la stessa validità dell’atto il quale, se redatto in modo differente, sarebbe nullo).

Sono tipiche, inoltre, le disposizioni che possono essere contenute nel testamento, sia per quanto concerne le disposizioni principali (cioè l’istituzione di erede, il legato e l’onere), che per quanto riguarda le disposizioni complementari (quindi le condizioni, i termini, la nomina dell’esecutore testamentario e le disposizioni dettate per la divisione).

Occorre sottolineare, in ogni caso, che la tipicità del testamento non comporta la tipicità del contenuto dello stesso: il testatore, pertanto, può determinare nel modo che ritiene più opportuno in contenuto delle disposizioni testamentarie, a patto che non siano illecite.

Si pensi, ad esempio, alle attribuzioni a titolo di legato: il testatore potrebbe legare un bene di sua proprietà (ad esempio la propria abitazione) così come un bene altrui (strano a dirsi, ma la legge lo consente), ma anche attribuire al beneficiario del legato il diritto di concludere un contratto, così come il diritto di pretendere che l’onerato (colui che deve eseguire il legato) non tenga un dato comportamento, ecc. (ipotesi queste non previste dal codice ma normalmente ammesse nella prassi).

Unilateralità del testamento

Si è già detto che il testamento si fonda, esclusivamente e inderogabilmente, sulla volontà del testatore e l’unica struttura adeguata a tale funzione è, dunque, quella unilaterale; ciò trova conferma nell’art. 458 del codice civile, il quale vieta ogni accordo con cui taluno dispone della propria successione (non è ammesso il patto con il quale si concorda, prima della morte, di nominare qualcuno erede). Non è necessario neppure che il testamento sia comunicato ai beneficiari delle attribuzioni, trattandosi di un negozio giuridico unilaterale non recettizio: il testamento, infatti, è di per sé valido, anche se nessuno ne conosce il contenuto.

La personalità del testamento

Uno dei requisiti essenziali del negozio a causa di morte è, poi, la personalità: il testamento è, più propriamente, un atto personalissimo, il quale può essere compiuto solamente dal soggetto interessato, con esclusione di ogni possibile forma di rappresentanza (legale o volontaria) o di assistenza. Il contenuto delle singole disposizioni testamentarie, inoltre (salve alcune eccezioni espressamente ammesse dal legislatore), deve essere determinato dal testatore e non può essere demandato alla determinazione di un terzo.

Per comprenderci, non possono delegare un parente o il mio avvocato affinché questi facciano il testamento al posto mio.

La revocabilità del testamento

Il testamento è un atto revocabile, come dispone l’art. 587, comma 1, del codice civile. Significa che a favore del testatore è riservata, in maniera intangibile, la facoltà di cambiare idea circa la sorte del suo patrimonio e, pertanto, poter revocare il testamento già redatto fino al giorno della sua morte. Ciò è confermato dall’art. 679 c.c., il quale dispone che: «Non si può in alcun modo rinunziare alla facoltà di revocare o mutare le disposizioni testamentarie: ogni clausola o condizione contraria non ha effetto».

Il caso più comune in materia contenzioso ereditario è quello della persona anziana che, essendo assistita da uno solo dei figli o da un collaboratore domestico, decida di revocare il precedente testamento e di farne uno nuovo istituendo erede proprio la persona che si è occupata maggiormente di lei nell’ultima parte della vita.

Un discorso a parte deve essere fatto per le disposizioni post mortem, eccezionalmente contenute nel testamento.

Con particolare riferimento al riconoscimento del figlio, la legge regolante la materia della successione ereditaria, prevede espressamente l’irrevocabilità del riconoscimento, anche per il caso in cui questo sia contenuto in un testamento. Per esempio, se l’anziano padre, preso dai rimorsi, decida di riconoscere con il proprio testamento un figlio illegittimo avuto da una precedente relazione, egli non potrà più revocare questa disposizione, neppure con un nuovo testamento.

L’importanza della volontà del testatore

Nell’ ambito della successione ereditaria, la volontà rappresenta un requisito essenziale del testamento: essa, nell’ambito testamentario, è particolarmente importante, in quanto il testamento è, evidentemente, un atto con cui il testatore detta “le sue ultime volontà” che non potrà poi cambiare e, per questa ragione, la volontà del testatore stesso deve essere fatta salva ogni qualvolta ciò sia possibile.

Proprio per garantire il più possibile la volontà del testatore, la legge prevede, mediante il disposto dell’art. 590 c.c., che: «La nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, ha, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione» e, dunque, ammette che le disposizioni nulle possano essere confermate, oppure eseguite volontariamente, da parte degli eredi.

Appare evidente, infatti, che nel momento in cui il testamento è portato a conoscenza dei terzi (mediante la pubblicazione del testamento olografo o del testamento segreto, oppure mediante il passaggio al repertorio tra vivi del testamento pubblico) e si evince la nullità di una o più disposizioni in esso contenute, il testatore – ormai deceduto – non può più rinnovare il negozio, eliminando la causa di nullità, ma i soggetti interessati alla successione ereditaria potrebbero pur sempre decidere di dare esecuzione al testamento viziato, volendo rispettare le volontà del proprio congiunto.

Sempre per meglio comprendere, si immagini che l’anziano Marco istituisca eredi, in parti uguali, suo figlio Achille e il figlio della sua compagna, Andrea, mediante un testamento olografo scritto a macchina (e dunque nullo per mancanza dell’autografia, ai sensi dell’art. 606 c.c.): essendo il testamento nullo, dovrebbe aprirsi la successione legittima e l’intero patrimonio ereditario dovrebbe essere devoluto a favore del figlio Achille, mentre Andrea non potrebbe vantare alcun diritto sull’eredità del patrigno, con il quale non ha alcun legame di parentela, ma Achille potrebbe pur sempre confermare il testamento e, in questo modo, permettere che il patrimonio ereditario vada in parti uguali a favore suo e del fratellastro, nel rispetto della volontà del proprio padre.

L’impugnazione del testamento per vizi della volontà

I vizi della volontà (quindi la volontà non genuina o mancante), rilevano particolarmente quando si tratta di impugnare un testamento. La legge in materia di successione ereditaria infatti prevede che:

A) E’ possibile, per chiunque abbia interesse alla successione ereditaria, impugnare il testamento redatto da chi era per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace di intendere e di volere nel momento in cui fece testamento (art. 591 del codice civile). Qui il caso classico è quello della persona ricoverata in casa di cura o ospedale, o anche allettata a casa, che a causa della patologia (si pensi all’anziano affetto da demenza senile) o delle terapie farmacologiche in atto (si pensi al malato terminale sotto effetto di sedativi e calmanti) rediga testamento (anche a mezzo notaio) senza essere perfettamente lucido ed in grado di determinarsi liberamente.

B) dall’altro lato, ai sensi dell’art. 624 c.c. si prevede che: «La disposizione testamentaria può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse quando è l’effetto di errore, di violenza o di dolo»; appare evidente che, in materia testamentaria, il diritto all’impugnativa non può essere riservato all’autore del testamento. Il testatore, infatti, se fosse cessata la violenza o se si fosse scoperto l’errore o il dolo, avrebbe potuto revocare il testamento e non avrebbe, dunque, alcun senso il ricorso all’impugnativa in sede giudiziaria da parte dell’autore. D’altro canto, non potrebbe ammettersi la salvezza di una disposizione fondata su di un vizio della volontà, proprio alla luce della peculiare rilevanza che la volontà assurge in sede testamentaria. Si faccia il caso che Elisa istituisca suo unico erede Mauro sotto la minaccia di un male ingiusto. I parenti di Elisa, o chiunque abbia interesse alla sua successione ereditaria, potranno impugnare il testamento con successo se riusciranno a dimostrare la minaccia ricevuta dalla testatrice.

Conclusioni successione

Come avrai certamente compreso la gestione della successione ereditaria, oltre che emotivamente provante, può essere molto complessa. Sia essa regolata dalla legge o dal testamento, le situazioni che si possono creare e gli interessi i gioco possono essere i più disparati e, per questo, vanno gestiti con particolare tutela. 

Da un lato c’è chi si sente leso nei propri diritti di erede e vuole ottenere giustizia, dall’altro chi invece ha tutto l’interesse a mantenere la situazione creatasi in seguito alla successione. Vi è poi chi ha interesse a recuperare un credito nei confronti del del de cuius o dell’ erede e vuole che la situazione venga accertata il prima possibile.

Il nostro studio legale è specializzato in diritto delle successioni e opera da anni i questa difficile e complessa materia, assistendo eredi, legatari, donatari e creditori in tutta Italia. Grazie agli strumenti tecnologici di cui disponiamo, offriamo anche un servizio consulenziale, online o in presenza, superiore  a quello che ci si può aspettare da un avvocato inteso nel senso tradizionale del termine

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Avv. Antonio Strangio

Avvocato per vocazione, sono appassionato di diritto delle successioni e diritto di impresa. Materie su cui si focalizza la mia attività professionale. 

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